PORTFOLIO
L’ARCHITETTURA CHE RESISTE
Il nuovo trova un suo posto solo se è capace di generare uno sguardo inedito sul pre-esistente. A Colonia Peter Zumthor si confronta con le rovine di una chiesa tardogotica distrutta dalla seconda guerra mondiale su cui Bohm costruì, alla fine degli anni Quaranta, la cappella della Madonna delle Macerie; nel 1957 eresse, al suo fianco, la cappella del Sacramento con pareti in basalto, oggi inglobate nel nuovo edificio. Dagli scavi degli anni Settanta emersero resti di abitazioni tardoromane, di un’abside del VI secolo e di una basilica romanica a tre navate. La grande hall del nuovo museo diocesano di Colonia è anche copertura di tale luogo di memoria. Museo che parla sottovoce il Kolumba, museo ieratico, capace di “ribellarsi alla dissipazione gratuita di forme e significati” e parlare il proprio linguaggio. Lontano da logiche legate al consumo di massa o a tendenze modaiole, si colloca all’interno del panorama architettonico internazionale come luogo di celebrazione del valore spirituale dell’arte, museo della contemplazione e della lentezza, dove le opere di epoche differenti sono posizionate secondo accostamenti insoliti e rotazioni.
L’architettura è esposta alla vita e con essa instaura un rapporto corporeo. Il corpo dell’architettura, ossia la sua struttura, che sia membrana, massa o involucro. O ancora, i gradi di intimità, che hanno a che fare con la scala, la dimensione, la distanza degli elementi architettonici. Edificio massivo questo, fatto di muri spessi portanti di mattoni che si smaterializzano in alto con trafori che lasciano entrare il vuoto nel pieno, l’aria e la luce. I nuovi muri si elèvano sugli antichi resti, ricucendo ed includendo i frammenti medioevali. Ospitano un sistema di tubi dove scorre acqua calda che, sfruttando la geotermia, mantiene la temperatura costante. A sostenere il peso degli ambienti sopra gli scavi archeologici, sottili pilastri in acciaio, rivestiti in cemento, che si ergono sugli antichi piloni della chiesa. La tensione tra interno ed esterno. C’è un dentro e c’è un fuori, in mezzo ci sono soglie e passaggi. Come un edificio fortilizio, il Kolumba si mostra introverso nella parte basamentale, quasi a voler negare il rapporto con la città, rapporto che recupera nelle torri al secondo piano, dove vetrate a tutta altezza scoprono visuali panoramiche su Colonia.
“Nessuna corrente d’aria. Me ne sto qui, posso essere. Ma ecco che qualcosa già mi attira dietro l’angolo, lì cade una luce, e anche quì, ed io attraversandola continuo a vagare.” Spazi che guidano, seducono, inducono a vagare o invitano a lasciarsi trasportare da piccole scoperte. Una condizione tra calma e seduzione. Al piano terra lo spazio è articolato da blocchi chiusi con funzioni accessorie e spazi espositivi, i “kabinett”, privi di illuminazione naturale; il percorso museale procede quindi attraverso strette scale scavate fino al primo piano con la stanza del tesoro, detta “Armarium”, e al secondo piano dove la luce naturale inonda le “torri” dall’alto. La luce delle cose. Dove si posa e dove genera zone d’ombra, dunque profondità, un pò come un racconto che nasce sempre dal buio. “Dapprima pensare l’edificio come fosse una massa d’ombra e solo in un secondo tempo, come in un processo di scavo, mettere le luci, far filtrare la luce nell’oscurità” oppure “sistemare consapevolmente i materiali e le superfici in una certa luce e guardare come riflettono”.
“Troppo distanti non vibrano all’unisono, troppo vicini sono morti”. La consonanza dei materiali, la vicinanza critica tra essi dipendente dalla loro essenza e dal loro peso. Il maestro svizzero lavora quì sul grigio chiaro caldo del mattone Kolumba, fatto a mano di produzione danese, di 54×21,5×4 cm, e delle pareti in intonaco d’argilla; i pavimenti sono in terrazzo con mosaico in marmo di Carrara, in malta nei kabinett e nelle torri, in pietra calcarea di Baviera nel foyer. Per quanto riguarda il legno adotta il pero per il rivestimento del guardaroba, l’eucalipto per il bancone della reception, la quercia per gli scaffali. La temperatura dello spazio. La quantità di calore sottratta dai materiali alla nostra temperatura fisica. O anche il suono dello spazio. Come un grande strumento musicale, un luogo con una certa forma e con certe superfici materiche raccoglie, amplifica e trasmette suoni. Beh, il Kolumba sembra aver compiutamente raggiunto, oltrechè l’agognata bella forma, anche la ricercata buona accordatura.
A cura di Giorgia Castellani
Leave a reply